venerdì 5 ottobre 2012

La volta della Cappella Sistina



La volta della Cappella Sistina (critica integrata con commenti di Giorgio Vasari)

“Alla quale opera non pensi mai scultore né artefice raro potere aggiugnere di disegno, né di grazia, né con fatica poter mai di finitezza, pulitezza e di straforare il marmo tanto con arte, quanto Michele Agnolo vi fece, perché si scorge in quella tutto il valore et il potere dell'arte.” 
 La Cappella Sistina è senza dubbio uno dei più grandi tesori culturali di tutti i tempi. La sua grandezza, non soltanto superficiale, lascia senza fiato anche il visitatore più inesperto. Dedicata a Maria Assunta in Cielo, si trova inserita all’interno del percorso dei Musei Vaticani, nello stato Città del Vaticano. Fu costruita tra il 1475 e il 1481, all'epoca di papa Sisto IV della Rovere, da cui prese il nome. Tutto il mondo la conosce come luogo nel quale si tengono il conclave e altre cerimonie ufficiali del Papa (in passato anche alcune incoronazioni papali), ma soprattutto come uno dei capolavori d’arte più conosciuti e importanti nella tradizione artistica occidentale. I suoi affreschi vennero eseguiti dal celebre Michelangelo Buonarroti, che si occupò della volta (1508-1512) e della parete di fondo (Giudizio Universale, 1535-1541).La personalità dell’artista era senza dubbio forte e decisa, tanto che dalle sue pitture traspaiono la sua creatività e la sua bravura, tanto che il Vasari lo inserirà nel libro delle sue Vite come unico artista ancora in vita e lo soprannominerà “divino”.
Questa pagina critica è atta a sottolineare dei caratteri fondamentali che distinguono Michelangelo dagli altri artisti suoi contemporanei, ma soprattutto a fare una critica sulla meravigliosa opera d’arte che tutto il mondo ci invidia.
Protagonista e accompagnatore del viaggio nei Palazzi Vaticani sarà senza dubbio Giorgio Vasari, importantissimo storico dell’arte che ci restituisce attraverso il suo scritto, molti dettagli e aneddoti sulla realizzazione dell’immenso affresco, nonché sulla forte personalità dell’esecutore.
Il Vasari lo ritrae così nelle Vite: “sdegnato e con collera gli rispose: “Va' al bordello tu e 'l Cossa, che siete due solennissimi goffi nell'arte”. “Per il che volti a Michele Agnolo gli dissero che l'aveva fatta in attitudine sí minacciosa, che pareva che desse loro la maledizzione, e non la benedizzione. Onde Michele Agnolo ridendo rispose: “Per la maledizzione è fatta”.
Caratterizzato dunque da grande determinazione e irruenza, Michele Agnolo fu ricoperto di doni e di favori dall’ambizioso papa Giulio II che voleva portare Roma agli antichi splendori. Il pontefice chiese all’artista di interrompere il suo monumento funebre e di intraprendere la realizzazione dell’immenso affresco nella Sistina. Michelangelo reagì di malo modo, respingendo il committente e rifiutando l’incarico, anche se persuaso dalla curia romana accettò l’incarico. Così si iniziarono i lavori di quella che oggi è la più grande testimonianza della bravura dei nostri artisti italiani.
Del progetto iniziale ci rimangono due disegni, che prevedevano le figure di sei apostoli seduti entro nicchie nei pennacchi e una partitura di finte architetture nella volta. Una volta preparati tutti i ponteggi l’artista volle cambiare il soggetto, o meglio, interpretarlo a modo suo e ampliare il programma iconografico. Ci fu una grande discussione tra Michele Agnolo e Giulio II, ma alla fine prevalse l’artista con i suoi desideri. I 500 metri quadri della Cappella Sistina erano pronti per essere affrescati.
“Laonde il suggetto della cosa lo spinse andare tanto alto per la fama e per la salute dell'arte, che cominciò i cartoni a quella e, volendola colorire a fresco e non avendo fatto piú, fece venire da Fiorenza alcuni amici suoi pittori, perché a tal cosa gli porgessero aiuto et ancora per vedere il modo del lavorare a fresco da loro, nel quale v'erano alcuni pratichi molto […] e, dato principio all'opera, fece loro cominciare alcune cose per saggio. Ma veduto le fatiche loro molto lontane da 'l desiderio suo e non sodisfacendogli, una mattina si risolse di gettare a terra ogni cosa che avevano fatto. E rinchiusosi nella cappella non volse mai aprir loro, né manco in casa, dove era, da essi si lasciò vedere. […] Laonde Michele Agnolo preso ordine di far da sé tutta quella opera, a bonissimo termine la ridusse con ogni sollecitudine di fatica e di studio; né mai si lasciava vedere per non dare cagione che tal cosa s'avesse mostrare; onde ne gli animi delle genti nasceva ogni dí maggior desiderio di vederla.“
Racconta così il Vasari di ciò che accadde durante l’esecuzione dell’opera. Michelangelo, insoddisfatto, cacciò via tutti i suoi collaboratori e si rinchiuse nella Cappella Sistina senza voler nessuno e senza che entrasse anima viva. Il papa volle a tutti costi sbirciare per vedere come proseguivano i lavori e Vasari ricorda questo aneddoto: “Il papa, andato per entrar nella cappella, fu il primo che la testa ponesse dentro, et appena ebbe fatto un passo, che da l'ultimo ponte su 'l primo palco cominciò Michele Agnolo a gettar tavole. Per il che il papa vedutolo e, sapendo la natura sua, con non meno collera che paura, si mise in fuga minacciandolo molto.”
Ancora una volta abbiamo la dimostrazione della personalità difficile dell’artista, che nonostante zuffe e litigi con il pontefice, riuscì in soli 4 anni a completare da solo tutta l’immenso spazio. Alla fine dei lavori, Vasari ci ritrae un Michele Agnolo con gravi danni alla vista e con un’artrosi al livello del collo, causata dalle scomode posizioni in cui era solito dipingere.  “ Michele Agnolo preso ordine di far da sé tutta quella opera, a bonissimo termine la ridusse con ogni sollecitudine di fatica e di studio”. Lo stesso scrittore esalta la grande “facilità esecutiva” dell’artista, che aveva abbandonato ormai da tempo gli schemi preparatori e disegnava a mano libera gigantesche figure. Dalla tanta ammirazione gli attribuì il soprannome “divino”.
Soffermandoci ora su quella che è la vera e propria critica dell’opera d’arte, preferisco iniziare riportando subito le parole del Vasari, che ci restituisce un giudizio sull’affresco: “La quale opera è veramente stata la lucerna che ha fatto tanto giovamento e lume all'arte della pittura, che ha bastato a illuminare il mondo per tante centinaia d'anni in tenebre stato. E nel vero non curi piú chi è pittore di vedere novità et invenzioni di attitudini, abbigliamenti addosso a figure, modi nuovi d'aria e terribilità di cose variamente dipinte, perché tutta quella perfezzione che si può dare a cosa che in tal magisterio si faccia a questa ha dato. Ma stupisca ora ogni uomo che in quella sa scorgere la bontà delle figure, la perfezzione de gli scorti, la stupendissima rotondità de i contorni, che hanno in sé grazia e sveltezza, girati con quella bella proporzione che ne i belli ignudi si vede.”
 Senza alcun dubbio Vasari è completamente rapito da quello che si trova davanti: figure titaniche di ignudi si alternano ad architetture classicheggianti e finti stucchi, per restituirci un programma iconografico vastissimo e denso di significato. Ora, tutti abbiamo presente l’immagine della volta e per questo motivo ho deciso di concentrarmi su quella che è l’interpretazione personale dell’opera, piuttosto che fare un’analisi  prettamente descrittiva, poiché un capolavoro del genere, a mio avviso, non ha bisogno di essere tradotto in parole. Gli occhi da soli sanno saziarsi di quello che guardano.La caratteristica principale che mi viene all’occhio sono le dimensioni dei personaggi. Non a caso il Vasari stesso chiama le figure “titaniche”, come d’altronde fa nel Giudizio Universale. “Ne' quali per mostrar gli stremi e la perfezzione dell'arte, ve ne fece di tutte l'età, differenti d'aria e di forma, cosí nel viso come ne' lineamenti, di aver piú sveltezza e grossezza nelle membra, come ancora si può conoscere nelle bellissime attitudini”.
E’ impressionante vederle inserite in un complesso così grande, ma ancora più stupefacente è pensare come siano state realizzate: l’attenzione al dettaglio è maniacale, infatti Michelangelo compì numerosi studi anatomici prima di dilettarsi nella torsione dei corpi.Le anatomie sono perfette, ci troviamo davanti a delle vere e proprie sculture nella pittura. “figure bellissime et acutezze d'ingegno degne solamente d'esser fatte dalle divinissime mani di Micheleagnolo”.
I movimenti  del corpo anticipano addirittura il Manierismo, come la serpentina della “bellissima figura della Libica, la quale sta con una attitudine donnesca per levarsi in piedi, et in un medesimo tempo mostra volere alzarsi e serrare il libro: cosa difficilissima per non dire impossibile ad ogni altro ch'al suo maestro. “Altro personaggio importante dal punto di vista stilistico è il profeta Giona, che Vasari ci presenta così : “Ma chi non amirerà e non resterà smarrito veggendo la terribilità dell'Iona, ultima figura della cappella? Dove con la forza della arte la volta, che per natura viene innanzi girata dalla muraglia, sospinta dalla apparenza di quella figura che si piega indietro, apparisce diritta e vinta dall'arte del disegno, ombre e lumi, pare che veramente si pieghi indietro?” . Oltre alla possenza del suo corpo, Giona è importante  per il cangiantismo delle sue vesti. Il drappo verde assume sfumature rosse, rendendo anche quel semplice tessuto uno spettacolo tessile: la trama e l’ordito sembrano realizzati infatti con fili diversi. Anche le altre vesti delle sibille o dei profeti sono meravigliose: Michelangelo utilizzò delle cromie violente e contrastanti fra loro, come nel caso della Sibilla Delfica, in cui si accosta un verde acido ad un arancione luminoso. Per quegli anni fu una svolta e l’artista venne a lungo criticato per questo suo “azzardo”. Anche negli ultimi anni del nostro secolo ci fu un dibattito in seguito al restauro del 1989. Molti critici non credevano che Michelangelo avesse usato dei toni così accesi e cangianti nella sua pittura, ma comparandoli a quelli del Tondo Doni, tutti hanno dovuto tacere e riconoscere ancora una volta la genialità dell’artista rinascimentale.Vasari si sofferma in particolar modo sulla quarta scena della Sistina, ovvero la più importante: la creazione di Adamo.
“Nella creazione d'Adamo ha figurato Dio portato da un gruppo di angeli ignudi e di tenera età, i quali par che sostenghino non solo una figura, ma tutto il peso del mondo, apparente tale mediante la venerabilissima maestà di quello e la maniera del moto, nel quale con un braccio cigne alcuni putti, quasi che egli si sostenga e, con l'altro, porge la mano destra a uno Adamo, figurato di bellezza, di attitudine e di dintorni di qualità che e' par fatto di nuovo dal sommo e primo suo creatore, piú tosto che dal pennello o disegno d'uno uomo tale e tutto insomma con invenzione e giudizio miracoloso, onde, a chi distingue gli affetti loro, appariscano divini. “ Adamo ha un’anatomia perfetta, così come l’espressione dell’Onnipotente è rassicurante e piena d’amore. La creazione raggiunge il culmine nella realizzazione dell’uomo a immagine e somiglianza di Dio, con le stesse dimensioni e gli stessi tratti. Michelangelo, da uomo profondamente religioso, ha voluto mettere al centro le capacità umane e la fiducia umanistica, quindi la centralità dell’uomo nell’universo creato da Dio.L’artista, inoltre, ha celebrato la bellezza del corpo umano nudo nell’esempio di Adamo. Le sue proporzioni sono perfette, tutti i muscoli vibrano di energia e di potenza.  La scena più bella riguarda le mani che tendono l’una verso l’altra, ma non toccandosi. Esse simboleggiano infatti l’anelito costante dell’anima umana all’unione con Dio, non realizzabile nella vita terrena, oltre che alla creazione dell’uomo voluta dall’Altissimo per amore.Così come in Adamo traspare quindi tutta la filosofia neoplatonica cara a Michelangelo, cioè l’anima che anela a sciogliersi dai vincoli terreni, nella rappresentazione di Eva incontriamo una donna possente e dalla muscolatura importante. Per la prima volta anche la tanto aggraziata figura femminile assume delle caratteristiche particolarmente imponenti, tanto che la sua muscolatura è tanto sviluppata quanto quella del suo compagno. “nella madre nostra Eva si vede quegli ignudi l'un quasi morto per esser prigion del sonno, e l'altra divenuta viva e fatta vigilantissima per la benedizione di Dio.” 
Vasari utilizza pagine e pagine per la descrizione dei numerosi personaggi, ritenedoli capaci di far trasparire tutti i loro stati d’animo e pensieri, oltre che a lodarne l’estetica e il movimento. Di seguito riporto alcuni esempi di figure nelle vele e nei pennacchi.“Davit, con quella forza puerile che piú si può, nella vincita d'un gigante spiccandoli il collo, fa stupire alcune teste di soldati, che sono intorno al campo; come fanno ancora maravigliare altrui le bellissime attitudini che egli fece nella storia di Iudit […]Ma piú bella e piú divina di queste e di tutte l'altre ancora è la storia delle serpi di Mosè, nella quale storia vivamente si conosce la diversità delle morti che fanno coloro che privi sono d'ogni speranza per il morso di quelle. Dove si vede il veleno atrocissimo far di spasimo e di paura morire infiniti, senza il legare le gambe et avvolgere a le braccia coloro che rimasti in quell'attitudine ch'egli erano non si possono muovere; senza le bellissime teste che gridano et arrovesciate si disperano.[…] Similmente nell'altra, dove Assuero, essendo in letto, legge i suoi annali, son figure molto belle, e tra l'altre vi si veggono tre figure a una tavola, che mangiano, nelle quali rappresenta il consiglio che si fece di liberare il popolo ebreo e di appiccare Aman; la qual figura fu da lui in scorto straordinariamente condotta, avvenga che finse il tronco che regge, la persona di colui e quel braccio che viene inanzi non dipinti, ma vivi e rilevati in fuori, cosí con quella gamba che manda inanzi e simile parti che vanno dentro; figura certamente fra le difficili belle bellissima e difficilissima.” 
Le figure così tanto lodate, in seguito verranno coperte con i famosi “braghettoni” di Daniele da Volterra, in seguito alle critiche della generazione successiva travolta dalla Riforma.
Della Cappella Sistina si possono dire tante cose e si possono fare tante osservazioni, ma mai così esplicative come quelle che ci regalano le “tenebrose luci degli occhi”.
Percorrendo con lo sguardo tutta la volta ci si accorge di un’evoluzione stilistica dell’autore. L’esecuzione è iniziata dal fondo e quindi dalle ultime scene, l’Ebbrezza di Noè, il Diluvio Universale e il Sacrificio di Noè. Questi affreschi sono gremiti di personaggi dalle dimensioni ridotte ed è presente ancora l’ambientazione. Nelle scene successive, invece, le figure iniziano ad ingrandire e lo sfondo si evolve e scompare, come nel Peccato Originale, nella Cacciata dal Paradiso Terrestre e nella Creazione di Eva. Anche i gesti si semplificano e dopo una breve interruzione dei lavori dovuta a problemi economici, Michelangelo si rimise all’opera con un pensiero diverso ed evoluto. Ora si preferisce rappresentare i personaggi accentuandone l’essenzialità e la monumentalità, fino ad arrivare alla Creazione degli Astri e alla Separazione della luce dalle tenebre con figure che occupano l’intera scena e senza più nessun riferimento al paesaggio.
E’ importante sottolineare anche l’innovativa e ardita rappresentazione dell’Onnipotente di schiena, evidenziata dall’erculea anatomia e dalle vesti mosse dall’aria.“Né si può dire la diversità delle cose, come panni, arie di teste et infinità di capricci straordinari e nuovi e bellissimamente considerati. Dove non è cosa che con ingegno non sia messa in atto; e tutte le figure che vi sono sono di scorti bellissimi et artifiziosi, et ogni cosa che si ammira è lodatissima e divina".
 Concludendo la mia pagina di critica, non posso fare altro che lodare il celeberrimo artista e commentare con le parole dello storico d’arte:  “Ringraziate di ciò dunque il cielo e sforzatevi d'imitar Michele Agnolo in tutte le cose. Sentissi nel discoprirla correre tutto il mondo d'ogni parte, e questo bastò per fare rimanere le persone trasecolate e mutole”.
 E’ proprio così infatti che mi sento, riconoscermi piccola di fronte a questo enorme capolavoro. Entrare nella Cappella Sistina e alzare lo sguardo significa rimanere senza fiato. Tutto ciò che vi è raffigurato, dagli ignudi ai medaglioni con il simbolo di Giulio II, dai profeti ai nostri Antenati, tutto ci riguarda e ci tocca da vicino. Fa parte della nostra storia, della nostra cultura e del nostro patrimonio artistico, che tutto il mondo ci invidia.
"Però, come nel principio dissi, il Cielo per essempio nella vita, ne' costumi e nelle opere l'ha qua giú mandato, acciò che quegli che risguardano in lui, possino imitandolo, accostarsi per fama alla eternità del nome; e per l'opere e per lo studio, alla natura; e per la virtú al Cielo, nel medesimo modo che egli alla natura et al cielo ha di continuo fatto onore. E non si maravigli alcuno che io abbia qui descritta la vita di Michelagnolo vivendo egli ancora, perché non si aspettando che e' debbia morir già mai, mi è parso conveniente far questo poco ad onore di lui, che quando bene come tutti gli altri uomini abbandoni il corpo, non si troverrà però mai alla morte delle immortalissime opere sue: la fama delle quali mentre ch'e' dura il mondo, viverà sempre gloriosissima per le bocche de gli uomini e per le penne degli scrittori, mal grado della invidia et al dispetto della morte".

Federica Barcaglioni

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